“Tackling climate change means business, good business, and it’s everybody business”.

In attesa della Conferenza delle Parti (COP 21) che si terrà a Parigi nel 2015, il Consiglio Europeo ha riunito i leader dei 28 paesi dell’Unione per discutere i target 2030. Sono già stati fatti buoni progressi verso l’obiettivo 20-20-20 che deve essere raggiunto entro il 2020 sulla riduzione dell’emissione di gas serra, la crescita dell’energia rinnovabile ed il raggiungimento di una maggiore efficienza energetica, ma è tempo di porre limiti più ambiziosi. Il 23 ottobre 2014 i paesi europei hanno raggiunto un accordo sulla strategia per il 2030: anziché 20-20-20, l’asticella si alzerà a 40-27-27.

Questo nuovo policy framework ambisce a diminuire le emissioni di gas serra di almeno il 40% rispetto al 1990, ridurre il consumo energetico e al contempo innalzare la percentuale di utilizzo delle energie rinnovabili al 27% entro il 2030. L’innalzamento dei target mira a costruire, passo dopo passo, un’economia e un sistema energetico più competitivo in tutta l’Unione Europea, cercando di livellare le differenze di sviluppo del settore green nei vari paesi membri. Proprio in quest’ottica si sta già parlando di una road-map per il 2050, con l’obiettivo più ambizioso di sempre: azzerare le emissioni di gas serra. Ovviamente si tratta di un progetto a lungo, lunghissimo termine, che troverà ostacoli di natura economica e politica. E’ però un segnale forte da parte della Commissione Europea: nonostante la crisi economica, la questione climatica pare aver trovato un posto preponderante nella policy agenda e non può essere ignorata ulteriormente.

Ma, tornando al 40-27-27, cosa significa nei fatti?

In vista di un futuro low-carbon che si sta avvicinando inesorabilmente, il punto principale dell'accordo risiede nei vincoli posti ai fini della  diminuzione delle emissioni di gas serra rispetto al 1990. Sembra troppo ambizioso? Pare proprio di no se si pensa che  in soli 7 anni si è riusciti infatti ad ottenere una riduzione pari al 18%! Ma allora cosa ha frenato dal porre obiettivi più ambiziosi? Il target, vincolante per tutti gli stati membri, è uno dei goal intermedi necessari per stabilire politiche concrete e raggiungere le emissioni-zero entro il 2050.

Il 27-27 costituisce invece il target stabilito rispettivamente per la percentuale di energie rinnovabili sul totale della produzione e l' aumento dell’efficienza energetica: entrambi i parametri devono infatti raggiungere almeno una quota pari al 27% entro il 2030. Tuttavia questi sono vincoli solo a livello europeo, mentre rimangono indicativi a livello nazionale, minandone l’efficacia concreta. Da una parte infatti si lasciano liberi gli stati di determinare il loro mix energetico, dall’altra non li si obbliga in alcun modo particolare, aumentando il rischio di fallimento del progetto. Qual è l’efficacia concreta dunque di questa linea guida che non comporta alcuna penalizzazione concreta per i paesi che non raggiungeranno l’obiettivo?

La scelta è stata però dettata da necessità politiche: al fine di raggiungere un accordo tra tutti i paesi, si è dovuto tener conto della situazione di difficoltà in cui si sarebbero venuti a trovare alcuni stati, come ad esempio la Polonia, ancora fortemente dipendenti da un’industria pesante altamente inquinante.

Sicuramente un passo in avanti è stato fatto, ma forse troppo timidamente: si è osato sulla carta, ma poco si è riflettuto sull’applicazione di questi buoni propositi. Ad esempio, quali politiche verranno adottate, sia a livello europeo sia nazionale, per supportare la crescita del mercato delle energie rinnovabili? In particolare, quali sono i sussidi previsti per proteggere questi mercati con grande potenziale di crescita, ma ancora troppo esposti a rischi di mercato quali la concorrenza di paesi come la Cina (in cui il settore del fotovoltaico riceve forti sussidi governativi), i cambiamenti repentini di tecnologia, prezzi e costi? Non si tratta di distruggere la competizione, ma di aiutare un settore in via di sviluppo e popolato da imprese in fase post-start-up più che da grandi imprese multinazionali. In assenza di supporti molte imprese che lavorano nel settore delle energie rinnovabili potrebbero fallire.

E per quanto riguardo l’Italia? Secondo il recente studio dell’Ecofys per la Commissione Europea, l’impegno del nostro paese in quanto a interventi a favore dell’energia solare è incredibilmente basso, soprattutto considerando le enormi potenzialità della penisola dovute al vantaggio di tipo geografico. La Germania è leader anche in questo settore, con investimenti che hanno superato i 5 miliardi di euro nel 2012.

E’ vero che la crisi economica gioca un ruolo chiave nell’impegno che gli stati possono porre in questioni che vengono considerate “secondarie” rispetto al tanto invocato pareggio di bilancio, ma come mai il secondo paese per investimenti in Europa nel 2012 è stata, a sorpresa, la Spagna?

Nonostante le considerazioni precedenti il 40-27-27 è un buon punto di partenza, ed è sintomo della priorità che la questione ha assunto nella policy agenda, ma deve ancora essere discusso e ridefinito. E la strada da fare è ancora lunga e in salita.

 

Autore: Eliana Canavesio